Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Le auto del rapimento Moro dimenticate nei depositi giudiziari e l’incredibile storia della R4 rossa

Nell’infinita letteratura sul caso Moro (saggi, romanzi, ricostruzioni giornalistiche, diari e raccolte di documenti) spicca, per originalità narrativa, un romanzo visionario, “UFO 78”, scritto dal collettivo Wu Ming, dove quella tragedia si intreccia con una incredibile storia di rapimenti alieni. Il romanzo racconta quel 16 marzo 1978, il giorno del rapimento Moro a via Fani, dal punto di vista di un gruppo di “studiosi” radunatosi a Roma per un importante convegno di ufologia.

Erano anni in cui impazzava la fantascienza, film come “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, riempivano le sale cinematografiche di tutto il mondo. Il 1978 è l’anno della grande ondata di avvistamenti UFO in Italia, l’anno con più segnalazioni e casi raccolti in tutto il ventesimo secolo: 1800. La copertina del libro propone una sintesi di questo racconto onirico: una Renault 4 rossa, quella R4 rossa, che vola nel cielo come uno dei tanti UFO segnalati in quegli anni. Una macchina simbolo di libertà e di viaggi, che era entrata drammaticamente nelle case di tutti gli italiani quel 9 maggio del 1978.

Sono le 12 e 13. Il telefono squilla tre volte prima che Franco Tritto, assistente universitario di Aldo Moro alla facoltà di Giurisprudenza de La Sapienza a Roma, risponda. La voce qualificatasi come “dottor Niccolai” raggela Tritto: … lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani (…) che è la seconda traversa a destra di via delle Botteghe Oscure (…) Lì c’è una Renault 4 rossa… I primi numeri di targa sono N5”.

Il portellone posteriore di quella R4 lasciata in via Caetani fu inquadrato e fotografato per alcuni interminabili minuti, fino alla scoperta del cadavere di Aldo Moro, adagiato nell’ampio portabagagli. La Renault 4 diventerà il simbolo di quella folle stagione di sangue e politica. La bara della Prima Repubblica.

La Renault 4 in via Caetani subito dopo il ritrovamento
del cadavere di Aldo Moro

La storia di quella macchina ha dell’incredibile. Fu rubata, il 1° marzo del 1978, dai brigatisti, a Filippo Bartoli, un imprenditore edile marchigiano che allora lavorava a Roma. Utilizzata per trasportare materiale ed attrezzi da lavoro, l’aveva acquistata per 898.000 lire.

Fu usata dai brigatisti in quei giorni, alcune testimonianze la segnalano a Via Savoia, dove si trovava lo studio di Moro, nei giorni precedenti il 16 marzo e probabilmente si trovava nei dintorni di via Fani il giorno del sequestro. Filippo Bartoli, che aveva denunciato il furto ai carabinieri, vide, come tutti gli italiani, la sua macchina a via Caetani. La vide in televisione.

Da allora è cominciato un incubo per lui. Attenzionato dagli investigatori, che non scoprirono, però, nulla di compromettente, Bartoli ritornò in possesso della sua R4 dopo una complessa vicenda penale ed amministrativa e la tenne nel suo giardino a Roma per oltre vent’anni, mai più usandola.

Voleva conservarla ma nello stesso tempo aveva maturato una sorta di ossessione nei confronti di quella macchina, temendo di essere stato strumento, inconsapevole, di un terribile delitto. Prima di morire espresse il desiderio che l’auto fosse donata allo Stato e così è avvenuto. La Polizia l’ha presa in carico e la conserva in uno dei suoi depositi giudiziari.

Le automobili hanno avuto un ruolo fondamentale nel sequestro Moro, reperti che ancora parlano e danno informazioni oltre che simboli di una tragedia italiana. L’ultima Commissione Moro, quella presieduta da Giuseppe Fioroni, ha avviato un’inchiesta molto approfondita su tutte le macchine coinvolte, ricercandole e analizzandole anche con i nuovi strumenti tecnologici a disposizione.

Non solo la R4, nei depositi giudiziari della Polizia ritroviamo anche l’Alfetta 1800 bianca della scorta. A bordo c’erano, quella mattina, Angelo Rivera, alla guida, al posto accanto il capo scorta Francesco Zizzi, al suo primo giorno di quel servizio, in sostituzione di un collega malato e dietro Raffaele Iozzino.

L’Alfetta fu tempestata di colpi e molto si è discusso sulla dinamica di quella sparatoria, sul numero e sulla traiettoria dei proiettili. La Commissione Moro, nel 2015, ha trovato nell’Alfetta tre proiettili non repertati all’epoca e ha disposto il sequestro dell’autovettura.

L’Alfetta della scorta crivellata di colpi

La famiglia di Angelo Rivera, originaria di Guglionesi nel Molise, vorrebbe portare l’Alfetta nella Scuola Allievi di Polizia di Campobasso, intitolata proprio al giovane agente. L’automobile, quell’automobile distrutta dai proiettili, come motore di memoria, per non dimenticare.

Nei depositi della Polizia troviamo anche la Fiat 128 Giardinetta bianca, guidata da Mario Moretti, con la targa del Corpo Diplomatico, che bloccò la macchina con a bordo Aldo Moro. Il Presidente della Dc era seduto nella 130 ministeriale blu, guidata da Domenico Ricci e con accanto il caposcorta dei Carabinieri, Oreste Leonardi.

Quella macchina si trova, per uno strano caso della burocrazia, custodita nel Museo della Motorizzazione di Roma, probabilmente perché di proprietà del Ministero dei Trasporti.

Vederla è come affrontare un viaggio a ritroso nel tempo. Tutto è fermo a quella mattina del 16 marzo. I sedili bucati dai proiettili, le macchie di sangue rappreso, i vetri perforati dai proiettili. Sul parabrezza, come d’obbligo all’epoca, i contrassegni dell’assicurazione e del bollo, con la scritta, evidente, dell’anno in corso: 1978.

Ci furono altre macchine protagoniste del sequestro Moro, ma sono tutte sparite, inghiottite da indagini e processi senza fine. Reperti probabilmente distrutti, come la Fiat 132 blu guidata da Bruno Seghetti e altre due, Fiat 128. Ma l’auto più famosa, più vista, più evocata è sicuramente la Renault 4, rossa, su cui fu fatto trovare il cadavere di Moro. Un po’ perché già, di suo, la R4 era l’auto più sognata e usata da una generazione di irregolari, che vedevano in quella macchina un segno di appartenenza ad una sorta di tribù.

Era anche la macchina dei giovani di sinistra e dei freakettoni, come si chiamavano all’epoca i ragazzi fuori dalle righe. Chissà forse per questo motivo fu scelta dai brigatisti come l’automobile dove uccidere e trasportare Aldo Moro da via Montalcini al centro di Roma, in una strada tra via delle Botteghe Oscure, sede del Pci e Piazza del Gesù, dove si trovava la Democrazia Cristiana. Un segnale, un gesto simbolico.

Tra i tanti misteri che avvolgono ancora quella drammatica storia ce n’è uno che non ha mai trovato risposta e che ha alimentato l’infinita deriva complottistica che contraddistingue il caso Moro. Come avranno fatto i brigatisti ad attraversare una città blindata, piena di posti di blocco ed arrivare fino a via Caetani senza essere scoperti?

Forse, per raccontarla alla Wu Ming, quella macchina, l’R4 rossa, avrà volato nei cieli di Roma, come un disco volante qualsiasi.