Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

La commedia (all’italiana) dell’auto elettrica

Un disegno di Paolo Samarelli

Un grande giornalista, tra i fondatori di Repubblica, ci diceva spesso (quando eravamo giovani cronisti) di non rileggere mai un nostro articolo, una volta pubblicato. C’era una certa verità, insieme a una piccola dose di snobismo, ma nel complesso non era del tutto sbagliato. Ripensando proprio a quella provocatoria considerazione, pur non trattandosi “del giorno dopo”, sono andato ugualmente a riguardare gli articoli (miei e di tanti altri) scritti sull’auto elettrica. Il risultato? Una grande confusione che assomiglia a quella che oggi viviamo un po’ tutti quando affrontiamo il tema della cosiddetta “mobilità sostenibile”. Termine abusato ma ormai sulla bocca di tutti. Per tornare a quegli articoli, ho trovati insieme ad allarmi lanciati in tempi non sospetti, diverse imperdonabili infatuazioni e coraggiose scommesse sul futuro a zero emissioni. Insomma, articoli che a rileggere ora, nella maggior parte dei casi, fanno anche un po’ sorridere.

La fabbrica Volkswagen di Zwickau

Nel 2019, tanto per fare qualche esempio, la Volkswagen lancia la produzione della ID.3, la prima elettrica del marchio. L’auto che avrebbe dovuto prendere il posto della Golf viene annunciata come una rivoluzione da 330 mila unità l’anno. L’allora Ceo del marchio, Herbert Diess nell’inaugurare lo stabilimento di Zwickau proferiva queste parole: “Non è più una domanda se prevarrà o meno l’auto elettrica. Ma quanto velocemente e in quale regione del mondo per prima si affermerà”. Parole naturalmente riportate con totale fedeltà un po’ da tutti e con altrettanta fedeltà condivise nel pensiero.

Nello stesso periodo un’importante società di analisi presenta un maxi studio nel quale si afferma che “entro il 2030 i veicoli elettrici rappresenteranno circa un quarto di tutte le automobili e dei camion su strada e il 50-60% delle vendite di nuove automobili”. Ancora nello stesso anno veniva annunciato “Il palo della luce che ricarica l’auto elettrica”. Insomma, due funzioni in una. Peccato che l’ottima idea è rimasta lì per diversi anni e le percentuali di vendita annunciate sono state molto ma molto lontane dalla realtà.

Già un anno dopo, però, arrivano i primi allarmi. In Inghilterra, per esempio, si chiedono investimenti importanti sulla rete elettrica altrimenti con la nuova mobilità “si rischia il blackout”. Che ovviamente non c’è stato. Nonostante il solito rapporto di un ente di certificazione internazionale che affermava con assoluta certezza che “nei prossimi anni si prospetta un cambiamento netto che si sta già diffondendo capillarmente nel settore automotive che vedrà, entro il 2027, metà delle nuove auto vendute in Europa alimentata ad elettricità”. Ci risiamo…

Ma il 2020 è anche l’anno della pandemia e qualche dubbio si insinua sul futuro dell’elettrica. E allora ecco una previsione e un pezzo che si potrebbe addirittura rileggere per intero oggi. Non lo scrivono molti ma il succo è questo: “Secondo gli analisti di Deloitte, il crollo generale di domanda e produzione industriale rallenterà le vendite di auto elettriche, soprattutto nel breve periodo. Possibile anche un allentamento dei vincoli ambientali per ridare slancio generale al comparto”.

Ursula Von der Leyen e l’ex presidente Usa Biden

Passa qualche anno e l’entusiasmo scema. Siamo all’inizio del 2023 e un lapidario Rocco Palombella, segretario della Uilm, afferma che “Secondo i nostri calcoli nel settore a livello nazionale sono in bilico fino a 120 mila posti di lavoro. Sono le soluzioni che mancano”. Appunto, soluzioni che continuano a mancare ancora adesso. Però negli Usa, il presidente Biden ad aprile 2023 decide di mettere ugualmente il turbo all’auto elettrica. E qui sarebbe meglio dimenticare le sue parole. Noi invece le rievochiamo: “L’obiettivo è arrivare entro il 2032 con il 67 per cento del mercato di auto e furgoni formato da veicoli elettrici”, in pratica due auto su tre a batteria. Su questo e altri temi ambientali punta la campagna elettorale del 2024. Come è andata a finire lo sanno tutti. Così come tutti hanno sentito le parole, amzi la vera e propria scure del nuovo eletto, Donald Trump: “Revocherò il mandato sulle elettriche, i cittadini americani potranno finalmente comprare l’auto che vogliono”.

Ma allora chi fine farà l’auto elettrica? Ci sarà un dietrofront? Possibile. Non dimentichiamo infatti ciò che avvenne agli albori della storia dell’automobile che nacque, all’inizio del Novecento, proprio grazie all’alimentazione elettrica, scelta già dalla maggior parte dei costruttori, soprattutto in Italia e nel distretto torinese in grande crescita.

Le pubblicità di allora parlavano di un’autonomia con una solo ricarica di 80 o 100 chilometri. Da un catalogo del 1906 della «Dora», l’azienda di Alpignano produttrice di auto elettriche e accumulatori, si legge: «Le vetture elettriche sono le meglio indicate per la città, perché non richiedono per la loro costruzione un meccanismo troppo pesante, riescono più snelle, e quindi più eleganti, sfilano silenziose, e non ammorbano l’aria con emanazioni di olio e benzina bruciati, preferite quindi a giusta ragione, dalle nostre dame che su di esse possono splendidamente figurare nelle pubbliche passeggiate».

Insomma, tutto filava liscio finché “la soluzione elettrica” non viene messa da parte, anzi cancellata brutalmente dal motore a benzina, ben più efficace e remunerativo per tutti anche se decisamente più inquinante. A Torino quasi tutti i produttori di auto elettriche chiudono tra il 1915 e il 1916. “Il futuro è il motore a benzina”, scrivono in molti allora. Proprio così. E allora vallo a capire il futuro…