Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Il caso Jaguar-Tiger: felino che va, felino che viene

Ha fatto scalpore la scomparsa dal bestiario automobilistico del Giaguaro, decisa dal management JLR (il gruppo Jaguar-Land Rover, di proprietà Tata) che ha rinunciato alla celebre statuetta in favore di una semplice scritta, graficamente ricercata ma desolantemente priva del fascino e dello slancio dell’emblema originale.

Il nuovo logo della Jaguar
Il precedente logo

Contemporaneamente però è comparso sul mercato un altro felino, zoologicamente ancora più forte e potente, come la tigre, e analogo nel badge con il “muso” incorniciato. Una coincidenza che mette in parallelo la rinuncia a un simbolo celeberrimo e storico con la salita agli onori degli spot televisivi del brand Tiger, di cui fino ad oggi nessuno (escludendo pochissimi petrolhead in salsa inglese) conosceva l’esistenza.

Il marchio Tiger è figlio di una piccola e orgogliosa azienda familiare, creata nel 1989 dall’entusiasta Jim Dudley assieme ai figli Paul e Laura, dedicata alla realizzazione, artigianale che più artigianale non si può, di veicoli tipo una monoposto con il look della BRM degli anni Sessanta, una replica della Lotus 23 e l’immancabile (brutta, ma economica e di successo) copia della Caterham/Lotus Seven.

Anche Mr. Dudley quindi ha rinunciato al suo faccione di tigre, in qualche modo simile a quello di giaguaro, ma per soldi; ha infatti ceduto il marchio per concentrarsi sull’altro brand di sua proprietà, forse altrettanto poco conosciuto ma sicuramente più glorioso: ERA (English Racing Automobile, 1933-1954).

Per chi è malato di britishness segnalo che una visita alla “sede”, ex Tiger ora ERA, di Wisbech (Cambridgeshire), non lontano da Norfolk, è un’esperienza appagante e, soprattutto dà da pensare per il contrasto fra le origini di un brand e la sua nuova vita.

1999 Lotus Seven Replica Tiger

Proprio questo bizzarro avvicendamento di felini mi suggerisce una riflessione generale sull’attuale spregiudicato (è un complimento…) utilizzo dei marchi; intendendo tutti quelli che hanno cambiato proprietà o sono confluiti nei grandi gruppi.

Alle origini del motorismo abili meccanici ambivano a vedere il loro nome sulle proprie creature ed erano orgogliosi di metterci la firma (e di conseguenza la faccia), anche se i cognomi erano comuni e non particolarmente “appealing” (come Bianchi o Ferrari, per dire…). Adesso, invece, è il contrario e sono le automobili (loro, in questo caso, non particolarmente “appealing”) ad aver bisogno di un’etichetta che le qualifichi e fornisca spunti per la comunicazione. Una prassi oramai consolidata che tradisce una clamorosa perversione e rinnega la Storia. Ma è il marketing, bellezza!