Fu il deposto monarca egiziano Fārūq ibn Fuʾād, che trascorse il suo dorato esilio in Italia dal 1952 al 1965, a dire che nel XXI secolo sarebbero rimasti solo i Re di Quadri, di Cuori, di Picche, di Fiori e il Re d’Inghilterra. La boutade veramente sarebbe smentita dalla quantità di monarchie ancora presenti nel globo, anche se questo Istituto sembra sempre meno avvincente (non che le Repubbliche stiano messe molto meglio, pensa cosa ci tocca dire!). Nella sola Europa si contano altre undici monarchie oltre al Regno Unito: Danimarca, Norvegia, Svezia, Spagna, Paesi Bassi e Belgio, insieme ai principati di Andorra, Monaco e Liechtenstein e al granducato del Lussemburgo. Per non dire dei paesi ex o post comunisti, con le loro inossidabili nomenclature e presidenze a vita o linee di successioni parentali che sembrano copiare il modello dell’investitura divina… vabbè, lasciamo perdere. La monarchia inglese in questo momento sembra addirittura la più traballante a causa di inchieste finanziarie, scandali, gossip, lutti controversi (la principessa Diana) e rimpianti recenti (l’eccentrico principe Filippo e la sua inossidabile consorte Elisabetta II che sembrava intramontabile e sarebbe stato bello che lo fosse davvero).

Non siamo esperti del ramo e dunque ci asterremo da commenti gaglioffi e superficiali. È però un fatto che l’immenso carisma della Regina non sembri più replicabile, vuoi perché i tempi sono cambiati e diventati implacabili, vuoi perché quel rigore personale, spirito di servizio, eleganza, riservatezza, umorismo, non sembrano esser discesi per li rami ai successori tanto che la Royal Family inglese oggi assomiglia alle nostre qualunque, coi nostri bravi litigi, gelosie, rancori, comportamenti “impropri”, come si dice oggi per non dir di peggio. L’unica che sembra intatta e superiore a tutto resta la Principessa di Galles Catherine Middleton, anche per la dignità con cui ha saputo affrontare i suoi problemi di salute in obbedienza al motto della suocera: never explain, never complain, mai giustificarsi, mai lamentarsi.

Fin da bambino la Regina Elisabetta ha esercitato su di me un fascino che non saprei spiegare. D’altra parte, come non ammirare questa figura che fin dall’adolescenza si è sentita investita dalla responsabilità di fronte alla sua nazione? A cominciare dal primo intervento radiofonico, che tenne quattordicenne nel 1940, per il programma «Children’s Hour» della BBC insieme alla sorellina Margareth: «… cerchiamo di sopportare la nostra parte di pericolo e tristezza per la guerra. Potremmo avere ancora molto da sopportare, ma torneranno giorni migliori: saremo di nuovo con i nostri amici, saremo di nuovo con le nostre famiglie. Insieme vinceremo». D’altronde la loro madre era stata la prima a dare il buon esempio. A quanti suggerivano di rifugiarsi in Canada con le figliole per sfuggire ai bombardamenti, Queen Mary aveva orgogliosamente risposto: «Le bambine non se ne andranno senza di me, e io intendo restare qui accanto al Re».

Non stupisce quindi che, appena compiuti i diciott’anni, Elisabetta si sia arruolata nel Servizio Territoriale Ausiliario (Auxiliary Territorial Service, matricola 230873) e abbia prestato il suo servizio come una qualsiasi delle 65.000 ragazze fra i 20 e 30 anni, non sposate e retribuite due terzi della paga del soldato, a supporto dell’enorme sforzo bellico. Nel 1941 l’ATS dovette allargare i ranghi fino a comprendere donne fra i 17 e i 43 anni, furono ammesse le coniugate e il servizio fu reso obbligatorio, tanto che Il giorno della vittoria le ausiliarie dell’ATS erano più di 190.000.

Alcune foto ci mostrano la futura regina insieme alle sue compagne mentre esegue lavoretti e riparazioni varie sui mezzi in dotazione. In particolare sulla camionetta Austin 10 HP o sull’autoambulanza Austin K2/Y, sulle quali vale la pena spendere due parole.
L’ambulanza derivava dal camion leggero Austin K30 e poteva trasportare dieci feriti seduti oppure quattro in barella. Differiva dall’originale par alcuni accorgimenti allo scopo di alleggerirlo, come le portiere in tela anziché in metallo, e fu molto popolare per la sua funzionalità sui vari teatri operativi. C’era però un difetto mai ovviato: la ruota di scorta, posta dietro il guidatore, sporgeva dalla sagoma tanto da venire spesso urtata quando l’Austin K2/Y incrociava altri veicoli nelle strettoie. Ci auguriamo che Elisabetta non abbia mai dovuto subire questo stress.


La Austin 10 HP aveva invece tutt’altra origine. Fin dal 1939 il Ministry of Supply, preposto alle forniture militari, aveva sollecitato le Case inglesi a produrre piccoli furgoni e camionette sulla base di normali vetture di serie. Questa classe di autoveicoli, denominata “Light Utility 4 x 2” (cioè con trasmissione non integrale) fu rapidamente sfornata principalmente dalla Austin, dalla Ford inglese e dalla Standard, mentre il gruppo Morris-Nuffield studiava un autoveicolo da ricognizione che non sarebbe stato però disponibile che a guerra finita. Utility fu abbreviato in Tilly e con questo simpatico soprannome gli agili furgoncini fecero il loro dovere a fianco delle ragazze dell’ATS e di Her Royal Highness Elisabeth, la principessa senza fronzoli.

