Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Una Thunderbird rosa per Fred Buscaglione

Sono Freddie, dal whisky facile/Son criticabile, ma son fatto così/Non credete, non sono un debole/M’ha fatto abile, ma la guerra finì/Se c’è una cosa che mi fa tanto male/ è l’acqua minerale!/Miracolosa sarà, ma per piacere/io non la posso bere!

Ferdinando Buscaglione detto Fred (Torino 1921 – Roma 1960) era l’idolo della mia infanzia, anche perché si aggirava su auto americane iperboliche e per noi italiani addirittura fantascientifiche, in particolare l’ultima, una Ford Thunderbird coupé modello 1959 colore Pink-Flamingo..

Uno dei suoi cavalli di battaglia era proprio la canzone citata, tipica del suo repertorio dedicato a quella che all’epoca si chiamava ancora “ligera” o “leggera”, ovvero quella malavita del Nord, periferica e minore, consanguinea agli Apaches parigini nati dallo stesso disagio, e composta più che da delinquenti incalliti da disadattati che non erano riusciti a trovar posto nella crescita industriale del primo Novecento. Ne fu appassionato studioso l’irregolare antropologo Danilo Montaldi con la stupenda raccolta Autobiografie della leggera (Torino, Einaudi, 1961) che nelle storie di quegli ex-contadini e sottoproletari inurbati, più vicini ai miserabili di Victor Hugo che alle batterie criminali romane di Testaccio, torinesi di Porta Palazzo o milanesi di Porta Romana, aveva saputo leggere il controcanto del progresso e della modernizzazione diseguale del Paese.

Fred Buscaglione ne fu ironico cantore inventandosi la chiave pop di malavitosi pronti a spendere in ballerine e superalcolici più di quanto riuscivano a sgraffignare con le rapine, celebrandoli in canzoni dove l’elemento comico risultava un deterrente all’imitazione. Al contrario di quel che succederà cinquant’anni dopo col rap, sorta di chiamata alle armi e riscossa dei suburbi, trionfo dell’emulazione e del proselitismo criminale. Lo spartiacque tra vecchia e nuova mala è facile da trovare: l’arrivo delle droghe e del loro affermarsi come core business delle mafie di tutto il mondo: gli stupefacenti hanno infatti segnato la fine della piccola impresa individuale e imposto un’organizzazione capillare, garantita da quel misto di corruzione terrore e complicità in alto loco che Leonardo Sciascia chiamerà “sicilianizzazione”. Intendendo con questo non certo denigrare la terra sua amatissima (cosa di cui fu prontamente accusato) ma segnalare inascoltato la pervasività dell’economia mafiosa ormai dilagata dappertutto, adiacente se non addirittura collusa col mondo delle istituzioni, dei colletti bianchi e della finanza “per bene”.

Torniamo a Fred Buscaglione e all’irresistibile simpatia che lo rese celeberrimo perfino presso il pubblico infantile. Non c’era fanciullo nei tardi anni Cinquanta che non sapesse a memoria le sue canzoni; io stesso potrei cantarle tutte e in famiglia nessuno si scandalizzava per il bandito in gessato con sigaro in bocca e bicchierone in mano. Un mondo di gangster di periferia in salsa lombarda cantato anche da Ornella Vanoni, Giorgio Strehler, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber– nonché celebrato nei libri di Giorgio Scerbanenco – che Freddie dal whisky facile aveva reso comprensibile ai baby boomers, proprio come l’irresistibile Jerry Lewis, altro idolo che per di più veniva veramente dalla meravigliosa America dei grattacieli, delle autostrade a sei corsie e dagli enormi macchinosi sfolgoranti di pinne e cromature.

Buscaglione invece era nostro, autoctono, il suo mondo era quello che vedevamo per strada ogni giorno e ci toccava il cuore. Ci aveva conquistato non solo con i suoi banditi di cioccolato ma, in modo quasi schizofrenico, con due capolavori del romanticismo melodico come Guarda che luna e, insieme all’inseparabile Leo Chiosso, I found my love in Portofino, canzoni che ancora non si legavano all’esperienza di stringere tra le braccia una ragazza e ballare il lento, ma promettevano a noi pulcini le estasi e le sofferenze a venire. Dunque non c’erano solo bulli e pupe nella vita di Buscaglione: anche lui aveva pianto per amore, anche lui aveva conosciuto la pena e la disillusione!

Gran parte del fascino di Buscaglione proveniva dalla dichiarata passione per gli Usa, per la sua way of life, le bellezze muliebri, le automobili sgargianti e fastose. Per me almeno era così e forse ero l’unico a non trovare orrenda la Ford Thunderbird del ’59 rosa con cui è andato a sbattere. Il modello era l’evoluzione, lievitata come un soufflé, di un’auto nata invece agile e compatta, come le sportive europee che l’importatore americano Max Hoffmann aveva fatto conoscere creando un nuovo interessante mercato.

Ford Thunderbird 1955
Ford Thunderbird 1959

La Chevrolet aveva cercato di occuparlo fin dal 1953 con la Corvette, la Ford ci riuscì nel 1954 con la T-Bird, motorizzata con un V8 4,4 litri da194 HP ben più poderoso del 6 cilindri 3,6 litri da 155 CV della concorrente. Entrambe arriveranno fin quasi ai giorni nostri pompando i muscoli fino a farle diventare rettili ultra lussuosi e anabolizzati, perdendo però per strada l’originaria vocazione di sportive eleganti e simpatiche, senza troppe pretese.

1960, Fred Buscaglione con Fatima Robins e la Ford Thunderbird

La Thunderbird di Buscaglione, targata TO286788, era una seconda serie uscita nel 1959 in tutto diversa dal modello iniziale. La carrozzeria aveva guadagnato altri due posti, s’era però appesantita con inutili orpelli e il muso a quattro fari si caratterizzava dall’invadente paraurti anteriore con maschera del radiatore incorporata che la faceva assomigliare a un barracuda (forse era questa l’idea). Il motore era stato portato a 5.8 litri per 300 HP (c’era addirittura una versione 7,0 litri per 375 HP, non importata in Italia). Il colore era il Flamingo (codice Ford M1071) che qualcuno in rete scrive Lilla, e in Italia costava un patrimonio fra acquisto, consumi, tasse e manutenzioni varie. La fortuna di Buscaglione era quel momento all’apice e certamente i soldi non erano un problema: beniamino anche di televisione a rete unica e caroselli aveva visto ingigantirsi la popolarità e i conseguenti ingaggi. Anche se un velo di malinconia traspariva dietro la voce rauca e l’aria scanzonata – i pettegoli alludevano al matrimonio in crisi- nulla sembrava minarne la carriera. La chiuse invece, e brutalmente, proprio quella macchina di cui andava tanto fiero, centrata in pieno il 3 febbraio 1960 a Roma da un pesante autocarro Lancia Esatau.

Roma, 3 febbraio 1960, incrocio tra via Rossini e via Paisiello

Buscaglione non aveva che 39 anni e quel tragico incidente al volante della sua Thunderbird criminalmente bella (per citare un’altra delle sue canzoni, sempre composta con Leo Chiosso) sul quale, contravvenendo alla preghiera di Pavese di non fare pettegolezzi, se ne diranno molte e fuori luogo (a cominciare dal fatto che fosse ubriaco: Freddie dal whisky facile era astemio!) lo proietterà nella leggenda degli eroi prematuramente falciati, come chi è caro agli dei. Fra coccodrilli e necrologi si distinse all’epoca un comunicato del ministro dei trasporti Giuseppe Togni che, con temerario eloquio destinato a fare scuola, volle dire la sua. Sembra una lettera scritta da Totò e Peppino e diceva così:

Di fronte alla morte non c’è che da inchinarsi, ed ogni commento non fa che rattristare maggiormente. Ma non si può, purtroppo, non porre in rilievo come questi tragici eventi traggano origine dalla mancanza di prudenza e più ancora dall’inosservanza di precise regole di comportamento che non sono frutto di un teoricismo astratto o di una ossessione personalistica ma di una esigenza insopprimibile che consegue a una esperienza e a una tecnica che non si possono disconoscere

il dodici volte ministro on. Giuseppe Togni