La crisi dell’auto elettrica colpisce e qualche volta affonda supercar e berlina di lusso. L’ultima vittima è la Maserati MC20 Folgore, progetto cancellato dalla casa del Tridente che dopo aver effettuato studi di mercato è giunta alla conclusione che “i clienti delle supersportive siano interessati unicamente alle versioni a benzina e non ancora pronti al passaggio all’elettrico”.

Un caso unico? Macché. Ne sa qualcosa la croata Rimac che non è riuscita a vendere nemmeno le 150 unità previste della hypercar Nevera da 1888 Cv, una delle auto più sofisticate e potenti del mondo. Ecco cosa ha detto il fondatore durante il meeting a Londra organizzato dal Financial Times: “Pensavamo che le auto elettriche sarebbero diventate di moda in pochi anni: le auto migliori, o con le prestazioni più elevate e così via. Notiamo invece che i clienti nella fascia più alta del mercato vogliono differenziarsi e hanno sempre più desiderio di tecnologia analogica e sistemi propulsivi termici”.

Fuori due, dunque. Basta così? Nemmeno per sogno. Ora ci si mette anche la Lamborghini che non abbandona l’impegno “full electric” ma lo rinvia al 2029. Sarà quello l’anno in cui vedrà la luce la versione definitiva del concept Lanzador, primo modello a batteria della casa del Toro, inizialmente previsto per il 2028. Motivo? Sempre lo stesso: “I tempi non sono ancora maturi e il mercato non è pronto”, ha detto l’ad Stephan Winkelmann.

E per finire il proclama della Volvo che rinuncia a diventare un marchio di auto solo elettriche entro il 2030, affermando che continuerà a produrre anche vetture ibride con l’obiettivo di arrivare ad un 90% delle auto vendute entro il 2030 tra EV e ibridi plug-in, mentre fino al 10% saranno mild-hybrid.
E a proposito di mercato è bene ricordare che il segmento delle berline di lusso in Europa, dominato proprio dalle elettriche che rappresentano il 50 per cento del totale delle vendite, nel 2024 è crollato del 30 per cento. E indovinate quali modelli hanno avuto la peggio? Gli elettrici, naturalmente.
Insomma, la conferma che è il mercato a decidere dove andrà l’auto e non i regolamenti imposti. E che soprattutto “ci vuole il tempo che ci vuole” per una radicale rivoluzione della mobilità.