Eccoci finalmente. Come promesso, questa volta racconterò la storia di un’auto tra le mie preferite, un capolavoro capace di ribaltare in clamoroso successo un incidente che poteva risultare fatale. Guardate bene questa immagine, anche se la qualità è infima (non ho trovato niente di meglio):

È il rottame dell’Alfa Romeo Giulietta Sprint veloce, carrozzata di serie da Bertone, iscritta dai fratelli Carlo e Salvatore (Dore) Leto di Priolo alla Mille Miglia del 1956 col numero 127. Un’uscita di strada in Toscana, in prossimità del fiume Ombrone lungo la Cassia, la ridusse nelle condizioni della foto, tali da rendere anti economico tentare di ripristinarla come in origine. L’unica era consegnarla allo sfascio, ma i Leto di Priolo decisero invece di farla rifare da Zagato, loro carrozziere di fiducia, rendendola più leggera e competitiva. Zagato modellò l’auto con una minore sezione frontale, dunque più aerodinamica, ma soprattutto utilizzò il suo tipico procedimento di ancorare alla scocca un traliccio di tubi sul quale aggrappare la “pelle” in alluminio, molto meno pesante dell’acciaio utilizzato da Bertone. Ovviamente questo rendeva più delicata la carrozzeria ma migliorava di gran lunga il rapporto peso/potenza e le conseguenti prestazioni. Questo il risultato (devo ancora scusarmi per la bassa qualità dell’immagine):

Facciamo un passo indietro.
Nel 1956 Alfa Romeo volle affiancare alla Sprint di Bertone uscita nel 1954 una versione Sprint veloce cui la stessa carrozzeria torinese aveva apportato sostanziosi alleggerimenti: vetri delle portiere in plexiglas ad apertura scorrevole, assenza di coprimozzi alle ruote, paraurti, sportelli, cofano e sportello del baule in alluminio, eliminazione dello sportello della guantiera, sedili spartani. Il motore era sempre il 1290 cc in alluminio ma con un incremento di potenza dagli originali 65CV ai 90 grazie all’adozione di 2 carburatori Weber orizzontali a doppio corpo e al rapporto di compressione portato a 9:1. La velocità raggiungeva i 180 Kmh e il prezzo era di 2.250.000 lire. Nella stessa edizione Mille Miglia 1956 dell’incidente Leto di Priolo la Sprint veloce conquista i primi tre posti di categoria sconfiggendo le favorite Porsche 356 pur dotate di motori di 1600cc.

Malgrado questi alleggerimenti la Bertone rimaneva meno competitiva della Zagato Leto di Priolo, che cominciò a inanellare una vittoria dopo l’altra. Il risultato fu che parecchi gentlemen driver vollero seguirne l’esempio e la carrozzeria milanese dovette sfornarne parecchi esemplari tutti diversi uno dall’altro, assecondando le personalizzazioni richieste dei clienti. Poiché il Portello si rifiutava di fornire i telai nudi, probabilmente per non entrare in concorrenza con la Sprint Speciale che stava allestendo Bertone (che però non ebbe alcuna fortuna nelle gare causa la scarsa maneggevolezza dovuta ai forti aggetti della carrozzeria a poppa e prua), la clientela si vedeva costretta a sborsare 2.250.000 lire per acquistare una Sprint veloce, buttare la carrozzeria in acciaio e tirar fuori altre 2.500.000 lire per farla ricostruire in alluminio da Zagato su misura come un abito di Prandoni o Caraceni.

Non era davvero conveniente e questo spiega perché non tutti i telai delle sopravvissute SVZ appartengano alla serie 750E della Sprint veloce. Alcuni appartengono alla serie 750B della Sprint normale. Come mai? Succedeva che alcuni clienti preferissero acquistare una Sprint Bertone di seconda mano per farla ricarrozzare da Zagato senza sborsare i quattrini di un’auto nuova da smantellare, affidandosi poi per l’elaborazione del motore a uno degli ottimi preparatori attivi al tempo come Virgilio Conrero o Almo Bosato a Torino, Carlo Facetti a Milano, i fratelli Trivellato a Vicenza e molti altri variamente dislocati, capaci di spremere molti cavalli in più dall’unità motrice concepita da Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso già prevedendo futuri incrementi e addirittura di cilindrata.

In breve la agguerrite ultraleggere si distinsero a tal punto da convincere l’Alfa Romeo a intervenire perché non sembrasse che tutto il merito veniva da carrozzieri e preparatori “esterni”, senza merito della casa madre. Risolse quindi nel 1961 di lasciare al mercato “civile” la Sprint speciale di Bertone (peraltro bellissima, disegnata da quel genio di Franco Scaglione) e consegnare 200 scocche a Zagato perché le rivestisse, uniformate per comodità produttiva a un unico disegno (opera di Ercole Spada, altro genio) perché tenessero alto in gara l’onore del marchio.

Sarà l’agilissima e potentissima Sprint Zagato (SZ) ancora oggi ambita dai collezionisti al punto di strappare quotazioni altissime le rare volte che qualcuna ricompare e viene messa in asta. Delle 200 scocche le ultime 20 ebbero ulteriore evoluzione nella strabiliante coda tronca (SZT) che, in ossequio alle teorie di Kamm, raggiungeva una superiore efficienza aerodinamica sugli allunghi, tanto da oltrepassare abbondantemente i 200 kmh in rettilineo. Quest’ultima spunta davvero quotazioni inarrivabili.


Le originarie SVZ erano catalogate come circa una ventina nella bibbia Alfa Romeo Giulietta da corsa scritta da Donald Hugues e Vito Witting da Prato (Nada editore, 1990, ne esiste anche un’altra, La Targa Florio della Giulietta, edita in proprio dallo “zagatista” Gino Giugno). Col tempo ne sono saltate fuori diverse altre, tanto che oggi il numero raggiunge quasi la trentina. Sull’autenticità di tutte queste vetture non possiamo mettere la mano sul fuoco; alcune rispettano effettivamente, pur nelle differenze tra modello e modello su misura per il cliente, i pattern tipici delle SVZ di pre-serie: materiali, vetri in plexiglas, sedili, eliminazioni di qualsiasi accessorio, motorizzazioni etc.

Altre sembrano ricostruzioni assai goffe e in molti casi addirittura inverosimili, tanto che un bel tacer non fu mai scritto, frase che viene attribuita a padre Dante ma che pare sia invece del poeta e librettista Iacopo Badoer (Venezia, 1602 – Venezia, 1654) che s’è visto scippare il proverbio. Detto questo la SVZ è una delle Alfa Romeo più belle mai apparse sulla terra e non deve troppo scandalizzare che, come la Settimana Enigmistica, vanti tutti questi tentativi d’imitazione. Qui sotto l’originalissima #04069 double bubble di Egidio Gorza in azione nel Giro di Sicilia.

Me ne capitasse una fra le mani mi piacerebbe farle un provino, come si chiede anche ai grand attori (che accettano volentieri la sfida, a differenza dei mediocri che si offendono sentendosi messi in dubbio). Giustamente chi la possiede se la tiene cara e non vuole che un estraneo ci metta sopra le mani a riccio di danneggiarla. Peccato, perché sarebbe ancora oggi molto divertente da guidare.