Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Ferrari e l’ossessione per la vittoria: Red cars, il film che Cronenberg non ha mai girato

Red cars”, è un libro del regista David Cronenberg che ne utilizza la trama come strumento d’indagine sulla psiche, sulle motivazioni e le allucinazioni del protagonista, Phil Hill, pilota statunitense della Ferrari che nel 1961 – anno in cui si svolge la vicenda – vince il titolo piloti superando il compagno di squadra, il conte tedesco Wolfgang von Trips. Vince perché von Trips muore in un tragico incidente nel penultimo gran premio della stagione (a Monza, casa della Ferrari, quando guidava la classifica) e Hill continua la gara, vincendola, ignorando l’incidente mortale del compagno-nemico. L’evento viene stigmatizzato dalla stampa che – com’era successo nell’incidente mortale occorso ad Alfonso de Portago e al suo coéquipier Edmund Nelson (e nove spettatori!) nella Mille Miglia del 1957 – paragona Enzo Ferrari a “un Saturno industriale, un Saturno moderno che, diventato capitano d’industria, continua a divorare i suoi figli”.

L’ossessione di Hill per la vittoria del titolo, che per la prima volta accende anche negli Stati Uniti l’interesse per la Formula 1, fino a quel momento considerata uno sport europeo, viene indagata in profondità nel progetto di film, in cui Hill (che dichiara implicitamente la sua dipendenza nescondendola: “Posso abbandonare le gare quando voglio”) si scontra con la personalità di Ferrari, di cui cerca disperatamente il consenso e la stima. Ma Ferrari ama i suoi piloti equamente; lo angoscerebbe troppo designare un “numero uno”. Cospira con Laura Dominica Garello, la moglie del patron, angosciata dalla spina nel cuore di un figlio illegittimo di Enzo.

Evoca lo spirito di Dino, il figlio precocemente scomparso di Enzo (che gli ricorda: “non è l’olio che impregna le lenzuola e il materasso, ma il sangue” ), si confronta con i meccanici, che lo considerano un esistenzialista (“pensa troppo per un pilota”);  con il compagno-rivale, von Trips, istintivamente velocissimo e incubo costante (“quanto è veloce von Trips?”, chiede Hill ai meccanici, che gli rispondono “esattamente quanto te”), che metteva il talento al servizio del piacere ma in realtà era un perfezionista meticoloso, e certo, anche con la sharknose, la Ferrari F156, la vera attrice protagonista del film.

I sogni di Hill si confondono con la realtà e la condizionano: i suoi “sogni di gara”, che richiamano i tipici schermi mentali del cinema di Cronenberg, sono vere sessioni al simulatore che gli consentono di essere molto “a mio agio con il circuito quando inizia la gara”. Anche i meccanici sognano continuamente le gare e alle domande interessate di Hill rispondono serafici “se diventi campione del mondo, ti dico il mio sogno” e gli spiegano che “la gara sarà un sogno. Un sogno perfetto”. Sogni e realtà, tutti concentrati su un’unica ossessione.

L’Essere e il nulla” è il canovaccio del film e anche il tema della festa premonitrice che von Trips dà nel suo castello di Hemmersbach prima della gara del Nürburgring, in cui un ospite si presenta con l’auto, perfettamente ricostruita – “con gli stessi difetti dell’originale” commenterà Phil – con la quale era morto in un incidente nel Gran Premio di Germania del 1958 il pilota inglese Peter Collins. Se il ricordo non è testimoniato dalla materia, non esiste. Coerente, del resto, con il cinema di Cronenberg, in cui il corpo è al centro (qui, quello della sharknose prima ancora che dei piloti): per esistere, bisogna avere un corpo.

Per questo la vittoria del mondiale si trasforma in un incubo per Hill: a seguito dell’incidente mortale, Enzo Ferrari impone di disertare la partecipazione all’ultima gara del circuito, negli Stati Uniti, dove Hill avrebbe potuto festeggiare (a casa sua)  il titolo, ma soprattutto, in una scena epica, la Sharknose viene smontata  pezzo dopo pezzo, in un’atmosfera asettica da sala operatoria, e sarà poi rimontata in un’altra auto, diversa nel nome e nell’aerodinamica, che gareggerà l’anno successivo.

La damnatio memoriae per lei, e per lui. “Sta distruggendo le prove, le prove del mio anno da campione. Sta uccidendo la nostra storia in Ferrari” urla Hill. Senza materia, non c’è memoria. Ed è proprio Enzo Ferrari a chiedere retoricamente a Hill “Ciò che facciamo sarà sufficiente per raggiungere un certo grado di immortalità? C’è un qualche significato in ciò che facciamo… il nostro sport crudele e meschino… le nostre macchine, la nostra creatività?”.

Red Cars si muove su ossessioni concentriche, che si concludono con flash, rossi. Red Cars è un’ossessione, iniziata nel 1996, quando Cronenberg ottiene con Crash a Cannes il premio della giuria e il riconoscimento unanime della critica, ed è rimasta tale. Cronenberg non è mai riuscito a realizzare il film, proprio come Dune, o Total Recall, progetti che ha abbandonato per cause varie ma, diversamente da quelli, non è stato ripreso da altri. Anche per questo forse, a dieci anni dall’avvio del progetto, il regista, per lasciarne memoria, lo ha trasformato in un oggetto materico, un corpo testimone.

Prodotto, tra gli altri, da Luca Massimo Barbero, compagno di viaggio di un periodo romano in cui pensavamo di far rinascere la contemporaneità in un modo non effimero, Red Cars è un libro d’artista (1.000 copie, copertina in alluminio, 75 scene con dialoghi illustrate con foto d’epoca accuratamente selezionate) con cui Cronenberg pone fine alla sua ossessione. Che sia stata l’opposizione di Ecclestone o quella della Ferrari, o altre le ragioni che hanno impedito di fare il film, non importa; la sceneggiatura è qui, sul mio tavolo, insieme al modello della sharknose.