Il DUKW era la versione anfibia dell’autocarro militare GMC CCKW 353 2½ 6×6 6×6, nato allo scopo di trasferire carichi e soldati sulle spiagge, un mezzo da sbarco progettato nel 1942 e rivelatosi indispensabile in Nordafrica, Italia, Normandia e altri teatri di guerra in cui furono impegnati gli alleati (dato in dotazione a inglesi e canadesi oltre che ai destinatari naturali: U.S. Army e Corpo dei Marines).
Rimasti in Italia dopo la guerra, parecchi residuati anziché alimentare le fonderie furono arruolati per compiti civili portando soccorso durante le catastrofi naturali ed entrano in azione ancora oggi là dove incuria e stupro del territorio continuano a imperversare facendo esondare fiumi mai ripuliti o franare montagne prive di manutenzione. Mezzo benemerito malgrado le origini belliche, sempre accolto con riconoscenza e sollievo quando, per le sue caratteristiche di sapersi muovere agilmente in acqua e in terra, riesce a venire a capo delle sciagure umane.

Per quanto possa sembrare strano, posso vantare una prova su strada di questo mezzo e anche in acqua, sia pure entrambe eseguite con circospezione sotto l’occhio vigile del proprietario, il caro amico Bruno Pasquini da Crema, meccanico provetto e collezionista di mezzi militari rari, sempre scrupolosamente restaurati nel rispetto dell’originalità. Se non si trova un pezzo Bruno non rimedia adattandone un altro, magari della serie successiva. Si mette alla fresa o al tornio e lo ricostruisce sacramentando in tutte le lingue del mondo. Ricordo bene il giorno in cui abbiamo deciso di fargli fare un collaudo e, dopo averlo tirato fuori con fatica dall’officina, ci siamo allontanati il più rapidamente possibile dalle strade asfaltate. Arrivati fra le anse del fiume Serio nella zona chiamata “i Laghetti” , una vecchia cava privata dismessa così grande da permettere gli sport acquatici, siamo entrati nei flutti e l’ho provato anch’io. L’esperienza risale a qualche annetto fa, ma la ricordo bene.

Il motore del DUKW è quello unificato dell’autocarro CCKW (chiamato anche Jimmy) costruito dalla General Motors, un 6 cilindri in linea a benzina di 4400cm³, che forniva 91,5 hp a 2750 rpm. Regime di rotazione bassissimo e valvole laterali, dunque affidabilità e facilità di manutenzione garantite. La trasmissione è a cinque velocità più retromarcia, con possibilità di utilizzare un riduttore, mentre la forza motrice è trasmessa alle ruote da tre differenziali (uno per asse). Lo scafo anfibio è realizzato in acciaio saldato rinforzato da costolature orizzontali e avvolge totalmente sia gli organi meccanici sia il vano di carico. Può trasportare 2400 kg di carico utile o 25 o 12 barelle per il trasporto feriti. Chi volesse saperne di più può immergersi negli articoli di Bryce j. Sunderlin su ARMY MOTORS n° 53, ma consiglierei la visione ai soli adulti, non perché ci sia qualcosa di disdicevole ma perché la ridda d’informazioni e minuscole differenze tra una serie e l’altra è tale che potrebbe generare stordimento e perdita di sensi. Quel gran genio del mio amico Bruno, ovviamente, lo conosce a memoria.

Guidarlo in acqua è più facile che in terra, data la mole e il terrore d’intruppare contro qualcosa o qualcuno, e va detto che le sue traiettorie dovevano essere pensate piuttosto rettilinee dovendo scaricare da una nave a terra nella maggior sicurezza possibile. In acqua fortunatamente non c’è da smanettare sul cambio non sincronizzato e subire gli insulti di tutti e gli sberleffi per le grattate. Per risalire l’argine ho preferito cedere i comandi. Non vorrei che slittasse e si mettesse di traverso a rischio di rovesciarci tutti in acqua e farci male.
Ogni volta che mi trovo al volante di un mezzo militare, claustrofobia a parte, mi chiedo come sia possibile eccitarsi al combattimento, come possa venirne voglia, addirittura farne una professione. Eppure il mondo si sta riabituando alla guerra, non la considera più un tabù. Si sta convincendo, come i nostri futuristi rivalutati a ogni piè sospinto anche nelle sciocchezze (furono grandi, ma non sempre e comunque), che sia la “sola igiene del mondo”.

Il movimento in acqua è assicurato da un’elica a tre pale di 320 mm posteriore mossa da un albero collegato alla trasmissione; l’organo direzionale consiste in un timone accoppiato alle ruote anteriori che vengono sterzate sia in acqua sia sulla terraferma. Sono previste due pompe di sentina a motore (una posteriore da 757 litri/minuto ed una anteriore da 189 l/min) ed una pompa manuale della portat di 190 l/min.

Caratteristica unica del DUKW è la capacità di regolare la pressione degli pneumatici a seconda dell’utilizzo. In strada infatti ci vuole una pressione alta per ridurre l’energia dissipata dal rotolamento delle ruote gommate, mentre su terreni instabili o scivolosi è meglio tenere la pressione più bassa, in modo da aumentare l’area di contatto col terreno. È perciò installato un sistema di controllo che permette di modificare la pressione delle gomme direttamente dal posto guida, grazie a un compressore e a un polmone di stoccaggio dell’aria che tramite sei condotti indipendenti l’aggiunge o la toglie mediante sei giunti ruotanti attaccati agli assali delle ruote. Il tutto gestito da una leva posizionata a sinistra del posto guida. Semplice no?
Riassumendo: ancora oggi un ottimo mezzo, anche se non per fare la spesa al supermercato. Anche i consumi non sono oggi sopportabili (credo che faccia 2/3 km al litro, forse anche meno in navigazione) e l’inquinamento non è parametrabile ai criteri e sensibilità d’oggidì. Ricordo però che una ventina d’anni fa la Protezione Civile venne a chiederlo in occasione di una settimana di piogge infernali, inondazioni ed emergenze continue. Anche in quel caso l’efficienza del mezzo e la destrezza di Bruno si fecero valere.