Siete Norma Desmond! La famosa attrice del muto. Eravate grande!
Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo…
Questo celebre scambio di battute fra Gloria Swanson e William Holden in Viale del tramonto, capolavoro di Billy Wilder del 1950, potrebbe valere anche per l’automobile della Diva, la bella Isotta Fraschini resuscitata dal garage della cupa villa hollywoodiana dove si consumerà perfino un delitto. Infatti è l’Isotta Fraschini la vera destinataria delle telefonate che giungono dagli uffici Paramount illudendo Norma Desmond di tornare sulla cresta dell’onda. Invece vogliono solo scritturare la vettura italiana, prezioso pezzo d’antiquariato. “Cosa c’è di buffo in questa macchina?” ringhia contro i petulanti trovarobe il grande Eric von Stroheim, ex-marito di Norma, ex regista spendaccione e suo scopritore, ridottosi a farle da autista/maggiordomo pur di starle vicino.

La Isotta Fraschini fu fondata a Milano nel 1900 da Cesare Isotta, dai tre fratelli Fraschini (Antonio, Oreste e Vincenzo), da Riccardo Bencetti, Paolo Meda e Ludovico Prinetti, quest’ultimo già esperto del ramo. Inizia come officina di rimessaggio, riparazione e vendita di autovetture estere, ma già dall’anno successivo comincia ad assemblare un suo modello di “Autovettura Leggera” equipaggiata con i monocilindrici francesi Aster e De Dion-Bouton. Nel 1903 costruisce in casa il primo motore, progettato da Giuseppe Stefanini, presto sostituito dal suo giovane allievo Giustino Cattaneo che nel 1907 diventa direttore tecnico. Sarà lui a fa crescere le Isotta Fraschini caratterizzandole prima come innovative auto sportive (le prime ad applicare i freni anche sul treno anteriore) quindi come lussuosissime supercar destinate a regnanti, magnati e stelle del cinema, i soli in grado di sborsare le fortune che occorrono per acquistare il nudo autotelaio e farselo poi carrozzare come vogliono meglio. In Italia gli specialisti sono le carrozzerie milanesi Castagna, Sala e Touring, le torinesi Garavini e Stabilimenti Farina, mentre all’estero (finivano quasi tutte lì!) spumeggiavano le francesi Figoni & Falaschi, le inglesi Hooper, Lancefield, Remseier Bros, le americane Fleetwod, LeBaron e tante altre. Fra le quali la danese Dansk Karosseri Fabrik in Copenhagen che, su disegno di Viggo Jensen, avrebbe costruito nel 1932 la 8B utilizzata in Viale del tramonto. Questo secondo la scheda prodotta al Concorso di Peeble Beach del 1995, dove l’Isotta “danese” vinse come Best of Show.

Al MAUTO di Torino è conservata una 8A del 1929 carrozzata Castagna accreditata per essere quella utilizzata in Viale del Tramonto. Manca la decorazione in paglia di Vienna del quarto posteriore e le ruote sono diverse, ma per il resto sembra proprio quella. Il motore è un mastodontico 8 cilindri in linea di 7370cc (Cattaneo fu il primo a utilizzarlo nella costruzione in serie, poi imitato da Buick, Leyland, Duesemberg, Bugatti, Daimler, Mercedes-Benz, Alfa Romeo e altri). In seguito alla crisi del 1929 e al crollo delle commesse l’Isotta Fraschini – malgrado la diversificazione in motori marini e automezzi militari – imbocca la strada di una crisi senza ritorno. Un tentativo di rianimarla nel dopoguerra con la Monterosa – ambiziosa auto con motore posteriore 8 cilindri a V di 3400 cc a trazione posteriore progettato dall’ingegnere ex-ferrarista Aurelio Lampredi – non riesce a decollare e nel 1949 l’azienda scivola in amministrazione controllata. Un successivo tentativo del 1998, che utilizza motorizzazioni Audi e Ford, finisce anch’esso nel nulla.
Tornando a Viale del tramonto, va ricordato che fu George Cukor a convincere Billy Wilder a scritturare la Swanson dopo le defezioni di Mae West, Mary Pickford, Pola Negri e Greta Garbo (che nemmeno volle prendere in considerazione di tornare sulle scene). Anche William Holden non era una prima scelta. Wilder aveva scritturato Montgomery Clift che però ma fuggì due settimane prima delle riprese. Fred McMurray rifiutò la parte. Si pensò a Marlon Brando, ma senza molta convinzione dato che era ancora agli inizi e non lo consideravano abbastanza famoso. Gene Kelly era disposto ad accettare ma la MGM, che l’aveva sotto contratto, rifiutò di liberarlo per interpretare la parte di un american gigolò ante litteram! Holden si rivelò perfetto e conquistò il suo regista che volle richiamarlo anche per Stalag 17 (1953, Oscar come miglior interprete), Sabrina (1954) e Fedora (1978). Stringono il cuore le spettrali apparizioni di Buster Keaton, Anna Q. Nilsson ed H.B. Warner nelle parti di sé stessi. Anche la columnist Hedda Hopper interpreta sé stessa dettando al telefono della villa il suo pezzo crudele (i maligni dicevano che le dentiere di Hedda Hopper, Louella Parsons ed Elsa Maxwell continuassero nottetempo a spettegolare tra di loro). Il grande Eric von Stroheim – che la Swanson aveva licenziato su due piedi ai tempi di Queen Kelly (1927) prodotto dal suo amante Joseph P. Kennedy, babbo del futuro presidente – non sapeva guidare. Nelle scene in strada l’Isotta Fraschini era trainata da un camera-car e il regista doveva fare solo finta. Quando proprio non si poté usare la controfigura, fini che von Stroheim andò a sbattere contro il cancello della Paramount. D’altra parte, come dice Norma Desmond: “Non ci sarebbe mai stata la Paramount senza di me”






