SAIGON – Case volanti, dormeuse stradali, camion privati, casseforti familiari o – più freudianamente parlando – “compagni di vita”. Posizionatevi mentalmente su Ho Chi Minh City, già battezzata Saigon, Vietnam del Sud, mettete una definizione sull’altra e otterrete la parola chiave: scooter. Si, avete capito bene: scooter. Otto milioni di esemplari su dieci milioni di abitanti (che fanno 13 milioni con la campagna), uno sciame di cavallette meccaniche, a due ruote gommate, che invadono h24 la più popolosa città del Paese, tra le più inquinate al mondo, in una sorta di moto oscillatorio perpetuo.

Ciclomotori come mezzo di trasporto “obbligato” dal reddito pro-capite, al limite della sussistenza per la stragrande maggioranza dei vietnamiti, ma anche riferimento solido nel magma urbano e soprattutto oggetto di culto ornamentale. Che significa? Altarini dedicati a Budda sul manubrio, cestini porta-bimbi con l’effige seriale di Hello Kitty, bauletti leopardati, sellini tappezzati in modo naif e molte, moltissime modifiche strutturali. Tipo: pedane saldate sul porta pacchi posteriore che permettono improvvisati traslochi, assi di bilanciamento laterale per trasporto uova, vettovaglie da mercato, animali vivi, attrezzi da lavoro e via con la fantasia. Impossibile, da questa parte del pianeta, immaginare gli infiniti impieghi di uno scooter 50 perché – spiace sottolinearlo – la necessità aguzza l’ingegno. Con l’aiuto della famiglia.

Primo per vendite in Vietnam, l’Honda 50 – seguito dai modelli Yamaha, Suzuki e dal Joyride della taiwanese SYM, marchio della multinazionale Sanyang – costa circa 1000 dollari Usa, tuttavia a fare la differenza sono gli accessori. Un plus che può raddoppiare e perfino decuplicare il prezzo-base del ciclomotore. Stesso discorso vale per le moto, meno diffuse e acquistate per lo più dai funzionari dello Stato (tanto per ricordare: si tratta di una Repubblica Socialista) o dai tassisti per “allestire” i taxi che qui si chiamano semplicemente tuk tuk, ovvero carrozzine, carrozze, carrellini per trasporto passeggeri (quasi esclusivamente turisti) trainati da due ruote di varia cilindrata.

Al contrario delle più classiche Ape car in voga in Tailandia e in alcuni Paesi del Mediterraneo, le motociclette qui si “portano addosso”, nel senso stretto del termine, dei baracchini stile Far West con tendine di raso, panchette in pelle e costruzioni che somigliano a baldacchini da alcova. Guardarli in fila nelle piazze è un piacere per gli occhi, molto meno per il fondoschiena.

Nel caos eternamente fibrillante, di Saigon, tra carrozzette e motorini e qualche lussuosissima automobile, va esplicitato per amor di cronaca: il pedone è un paria, un disgraziato, un incosciente, uno smidollato alla mercé di chiunque abbia il buon cuore di notarlo. Fra tutti: i pedalatori in risciò che pietosamente adocchiano il malcapitato, con la speranza di catturare un passeggero pagante. Perché gli scooter viaggiano a velocità costante, non rallentano e tanto meno frenano. Piuttosto chi è in sella “schiva” gli ostacoli con mirabolanti acrobazie, siano essi stranieri, carretti o cani.
A volte la manovra non riesce. Nel traffico può capitare. E, purtroppo, si viene travolti. Fermarsi davanti alle strisce pedonali – si capisce dopo qualche giorno nel Paese che ospita 70 milioni di scooter, da Nord a Sud del suo territorio – è un’opzione, non un obbligo. Come non lo è ritirare i motorini sequestrati (per guida in stato di ebbrezza, per incidenti mortali e violazioni gravi) che giacciono nelle stazioni di polizia, nei magazzini e nelle aree sosta delle forze dell’ordine, per sempre. A meno che non siano venduti.

Le leggi per quelli che infrangono il codice stradale – ripetono gli autisti di Saigon – sono severissime. Personalmente ne dubito. Ma pare siano oltre 150 mila i “compagni di vita” abbandonati dai vietnamiti: le multe sono tanto salate che il ritiro non conviene affatto. Meglio comprare uno scooter nuovo con cui scendere in campo ogni mattina: casco (obbligatorio), mascherina, guanti, cestini e passamontagna. Con i bambini seduti davanti sul manubrio, dietro sul sellino, sopra alle ginocchia, di lato sul poggia piedi, in braccio a mamma o perfino sulle spalle di nonna. Senza casco e senza sostegno. Insomma, si fa quel che si può. Arrangiarsi non è mica proibito.