Non si ripeterà più un fenomeno come quello che ha trasformato il bimbo nato a Tupelo nel Mississippi (insieme a un gemellino morto subito) in una casetta poco più grande di un container, nel simbolo mondiale della musica rock nonché oggetto del desiderio di milioni di ragazzine. Dopo arriveranno i Beatles, gli Stones, i Bee Gees, i Chicago (classifica stilata da Billboard) e numerosi altri artisti oggetto di devozione e fanatismo (compreso l’omicidio, come nei casi di John Lennon, Selena Quintanilla-Pérez o Dimebag Darrell) ma nulla potrà mai eguagliare la sovreccitazione amorosa che ha accompagnato Elvis Presley in ogni tappa della sua vita infelice, dall’ascesa al declino fisico, dall’atletica stupenda snellezza della gioventù ai travestimenti da Dracula sovrappeso, avvolto in mantelli di strass, gonfio di psicofarmaci e disperazione.

Qualcosa di simile doveva essere accaduto ai tempi del cinema muto, con le folle inneggianti a Rodolfo Valentino o Mary Pickford, ma la fortuna di Elvis coincise con l’affermarsi della televisione, della sua pervasività interclassista e intergenerazionale, e il mito si espanse insieme alla pubblicità che ne riprese e manipolò gesti, sound, modo di vestire e atteggiarsi. Così ogni sua minuscola innocente predilezione, dalle automobili al dentifricio, dagli stivaletti alla profilassi (celebre nel 1956 la sua vaccinazione contro la polio in diretta tivù) venne pantografata e scagliata sui fans come regola di vita cui d’ora in avanti ciecamente obbedire. La parola influencer avrebbero dovuta inventarla allora, inventarla per lui.

Nel 1958 Elvis Presley aveva già scalato dieci volte la classifica dei singoli più venduti in America, con canzoni che sarebbero diventate evergreen: “Love Me Tender”, “Loving You”, “Jailhouse Rock”, “Heartbreak Hotel”. A 23 anni l’ufficio di leva di Memphis – la città dove i Presley si erano trasferiti – lo dichiarò abile al servizio e lo spedì prima a Fort Chafee, in Arkansas, poi a Fort Hood, nel Texas. Durante l’addestramento l’epatite della madre peggiorò ed Elvis ottenne una breve licenza giusto in tempo per vederla morire.
Al termine dell’addestramento fu assegnato alla Terza Divisione Corazzata di stanza in Germania, a Freiberg, e fu lì che conobbe Priscilla Ann Wagner Beaulieu, figlia adottiva di un suo superiore (la sposerà una decina d’anni dopo). Allo stesso periodo si fa risalire la dipendenza da psicofarmaci antidepressivi e anfetamine che l’accompagnerà poi per tutta la vita. Nel dicembre 1958 si regala una stupenda BMW 507 di seconda mano. Avrà anche lei una vita tormentata.

La 507 fu prodotta nel numero limitatissimo di 253 esemplari. Un’agile spider due posti, che la Casa bavarese commercializzò tra il 1955 e il 1959 adottando il propulsore 8 cilindri a V già utilizzato per la sportiva 502 facendo però realizzare il disegno della carrozzeria dallo studio di Albrecht von Goertz, dato che quello progettato in casa da Ernst Loof non aveva soddisfatto l’importatore americano Max Hoffmann, il promotore di alcune stupende sportive europee che mai sarebbero venute al mondo senza la sua insistenza. Come la Porsche 356 Speedster, le Mercedes 300 e 190 SL, l’aerodinamica Arnolt-Bristol, la deliziosa Alfa Romeo Giulietta spider.

La 507 di Elvis era appartenuta al pilota Hans Stuck, che proprio con quella – numero di telaio 70079, targa M–JX 800 – vinse diverse gare in salita in Germania, Austria e Svizzera nei primi mesi del ’58. Bianca, cambio speciale da corsa, cerchi monodado. Dato che le ammiratrici la istoriavano col rossetto per autografi, dichiarazioni d’amore e proposte oscene, Elvis decise di farla ridipingere in rosso per rendere tutto inintelligibile. Nel 1960, finito il servizio militare, Elvis l’importò negli USA per rivenderla due mesi dopo a un concessionario Chrysler. Lì fu acquistata dal commentatore radio Tommy Charles che però la massacrò sostituendo motore, cambio e trasmissione per renderla competitiva nelle gare. Poi se ne persero le tracce.

Fu ripescata in California nel 1968 dall’ingegnere Jack Castor, appassionato collezionista d’auto che la conservò in garage in attesa di tempi migliori. Nel 2006 la giornalista americana Jackie Jouret scrisse sul magazine “Bimmer” un articolo in cui cercava di ricostruire la storia della 507 di Elvis. Castor si convinse che la sua auto fosse quella e contattò la giornalista. Che confermò, numeri alla mano, l’autenticità di quello che al momento si presentava come un rottame.

Castor nel 2014 accettò di rivendere la 507 alla BMW che ne iniziò così il laborioso restauro. Dato che di molti pezzi non esistevano ricambi, molte cose hanno dovuto essere ricostruite in base ai disegni conservati nell’archivio. Oggi finalmente l’auto di Elvis è tornata a risplendere come la voce del suo illustre secondo proprietario, evocatrice, per dirla con Tennessee Williams, della dolce ala della giovinezza.