Che invidia, da mangiarsi le unghie. Tra le automobili dalle tinte pastello (l’850 e la 500 Fiat o il Maggiolino Volkswagen) le vedevi sfrecciare in sella al Ciao a gambe strette, con le minigonne, il cerchietto, l’eye liner nero e le calze trasparenti con i mocassini inglesi. E tu, sulla bicicletta, gonna scozzese e calzettoni con i pon pon, sognavi soltanto di diventare una ragazza alla moda. Proprio come quelle in sella al Ciao. O perlomeno grande abbastanza per correre in strada sulla Graziella (la bici che si piegava e veniva infilata nel bagagliaio dell’utilitaria) dotata di cestino e campanello cromato. Giorno dopo giorno ti baloccavi con l’idea che poi, compiuti i fatidici quattordici anni, sarebbe arrivato “Lui”: non il principe azzurro, ma il motorino. Meglio se rosa.

Altro che prima sigaretta. Il Ciao era la vera conquista sulla strada dell’adultità. Sì, il “motorino” che ancora non si chiamava scooter, ma era da sempre ciclomotore. Semplice quasi come la bicicletta, eppure più veloce. Più bello del Mosquito e più light della Vespa. Con il cavalletto, il manubrio, i pedali, il serbatoio per la miscela, le ruote con i raggi, il sellino nero con la targhetta in bella vista (oggi si direbbe brand), il fanalino rotondo e la magica scritta: il Ciao della libertà. Quello che potevi avere solo in cambio della promozione con (almeno) la media dell’8. Il “mezzo” giusto per volare, oltre i paletti orari e le attese alla fermata dell’autobus.

Cinquantasette anni fa era un’altra storia. Praticamente il Pleistocene della motorizzazione. In Italia c’erano i voti scolastici, l’appuntamento serale con Carosello, le canzoni di Rita Pavone, la Nutella. E a Pontedera, esattamente l’11 ottobre 1967, nasceva il ciclomotore che, insieme ai pantaloni a zampa, ha fatto per anni girare la testa alle ragazzine italiane. Il Sessantotto bussava alla porta, ma alle elementari il grembiule bianco con il fiocco blu era un diktat. Nessuna deroga prima della battaglia studentesca di Valle Giulia a Roma (di cui parlavano cucine e sorelle maggiori) e il maggio francese.

Una generazione in rivolta e un Paese in subbuglio. La tv in bianco e nero proponeva ai ragazzini l’istruttivo (nonché noiosissimo) Immagini dal Mondo, mentre non c’era più teenager italiana che potesse fare a meno della giacca con le frange e del Ciao, a costo di interminabili discussioni con papà e mamma sull’acquisto. Il “sogno” costava 55.000 lire, aveva i freni tipo bicicletta, il motore orizzontale e la struttura portante formata da due semi-gusci in acciaio stampato. Leggero (più o meno 40 chilogrammi) e maneggevole, faceva bella mostra di sé davanti a scuola, ma salirci in due era un’impresa: una ragazza in punta al sellino, l’altra nello spazio (poco) che rimaneva. E i libri (tenuti insieme con la cinghia) dietro, sul portapacchi, assicurati con un elastico-ragno. Del casco, allora, non c’era bisogno, anzi non costituiva affatto obbligo. Il parapioggia si montava “a parte”. E si imparava a guidare (e ad impennare) grazie alla pazienza di qualche amico esperto o di un papà lungimirante.

A metà anni Settanta il Ciao è già mito, il fanale anteriore è diventato grigio alluminio e pure i fianchetti laterali, il manubrio è a U e alle estremità dei freni c’è una pallina che permette di non farsi male quando si stringe l’asta. “Liberi chi Ciao” strillano i cartelloni pubblicitari per strada, “Giovani chi Ciao”, “Anni Ciao” e Carosello con un fortunatissimo spot del 1973 – per la regia di Tinto Brass – ha da tempo bollato le “Sardomobili”, ovvero le auto-scatole di sardine che “hanno cieli di latta” mentre la Vespa Piaggio ti fa vedere il mondo a colori. Passa il tempo, cambia tutto. E il Ciao cambia sella: i gialli, i verdi, rossi si moltiplicano. Un successo di vendite via l’altro, fino al 2006, con oltre 3 milioni e mezzo di motorini sparpagliati in tutto il mondo. Un po’ più “Ecology” (1986), un tantino più “Teen” (con telaio rosso e cerchi bianchi), comunque più tecnologico e moderno, il mitico Ciao con i suoi 50 di cilindrata diventa piccolo piccolo rispetto agli scooter e agli scooteroni di nuova concezione. Una “pulce” nel traffico sempre più serrato che soffoca – insieme allo smog – le città italiane. Chi ha il vecchio modello anni Settanta se lo tiene caro, rinunciando al comfort e alla maneggevolezza. Il mercato dell’usato lievita.

Nel 1995 le ragazze Ciao sono diventate donne mature, accompagnano a scuola i figli in station wagon e la Piaggio omologa il modello “Mix” con miscelatore automatico. Nel 2001 arriva anche la versione Euro 1 poi il motore catalizzato in linea con la normativa Euro 2, ma gli “Anni Ciao” sono ormai andati, inghiottiti da motoroni, due ruote dal design avveniristico, motori a due e quattro tempi con altre prestazioni. Gli appassionati del mito (ossia i boomer) si mettono in Rete, alcuni fondano il Ciao Club Italia, si organizzano viaggi in Ciao (Bologna-Mosca oppure Roma-Lisbona), ci si scambia pareri su la “tolleranza” in chilometri del vecchio motorino, si fanno raffronti con la leggendaria Vespa e si raccontano aneddoti del passato. Di blog in blog comincia, insomma, l’operazione nostalgia che accompagna gli oggetti cari dell’adolescenza soprattutto quelli che coronano la vecchia idea di libertà giovanile. Un concetto che oggi non sembra correre più sulle due ruote. O no?