Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

L’India, il cinema e le auto. Quel che resta dello sviluppo

Da sei anni l’Istituto Italiano di Cultura di Delhi guidato da Andrea Attanasio organizza l’Habitat International Film Festival ospitato nell’immensa struttura polifunzionale dell’India International Centre (IIC) progettata da Joseph Allen Stein (1912-2001). Questo architetto americano fu costretto negli anni 50 a trasferirsi a Delhi per via delle furie del senatore Joseph McCarthy (che vedeva cospirazioni antiamericane dappertutto e nel progettista dell’edilizia popolare di san Francisco aveva fiutato evidentemente un pericoloso dinamitardo). Nella neonata Repubblica guidata da Jawaharlal Nehru Joseph A. Stein trovò invece accoglienza e commesse di importanti complessi istituzionali diventando così un importante riferimento per l’architettura post-coloniale.

India International Centre di Delhi

Quest’anno l’HIFF aveva come Focus il cinema italiano dal dopoguerra a oggi e, avvalendosi di smaglianti copie restaurate dalla Cineteca di Bologna, ha potuto mostrare a un pubblico numeroso e attentissimo una quarantina di capolavori che, soprattutto per quel che riguardava gli anni fulgidi del neorealismo, hanno trovato un eco per me inaspettato.

Me lo spiego ora con una certa somiglianza delle condizioni critiche dei due paesi, miseria e disastri del dopoguerra in Italia, sottosviluppo e fame nel subcontinente, ma pensavo che questo avrebbe potuto coinvolgere soprattutto gli spettatori anziani. Solo che non c’erano spettatori anziani ma giovani e giovanissimi che nulla potevano sapere di quei tempi se non de relato. Ma quei film parlavano al nostro presente con lo stesso vigore di quando furono concepiti, sfidando le generazioni e le mode effimere, universali e assoluti come solo le grandi Opere. Un’eredità (lo dico prima di tutto a me stesso) di cui dobbiamo sì compiacerci ma soprattutto essere degni. In ogni caso, poiché era presentata anche la stupenda trilogia di Satyajit Ray (1921-1992): Pather panchali (1952-55; Il lamento sul sentiero), Aparajito (1956; L’invitto) e Apu sansar (1959; Il mondo di Apu), la parentela fra le due cinematografie appariva evidente e l’interscambio naturale. come chi s’intende con un’amorosa occhiata.

1956 Aparajito (L’invitto) diretto da Satyajit Ray

Nel pubblico suscitava allegria riconoscere nelle nostre automobili alcuni modelli Fiat diffusi anche qui (ne abbiamo già parlato nella precedente puntata), tanto che qualche volta ci si poteva addirittura confondere se non ci avessero provvidenzialmente aiutato i costumi, fantasiosi e sgargianti quelli indiani perfino nello squillante bianco e nero degli operatori dell’epoca.

Fiat Premier 1100/103 in attesa

La sensazione al termine di queste proiezioni, e l’attenzione con cui sono state seguite, è che l’Italia abbia superato e si sia allontanata da quella civiltà contadina ormai invisibile nelle sue città (nell’abbigliamento, nella moda, nel modo di muoversi) mentre in India continui la coesistenza del passato con la dimensione avveniristica del futuro senza che queste confliggano, almeno in apparenza, malgrado lo stridore ancora persistente fra povertà e ricchezza.

La Costituzione dell’India

È una sensazione che danno soprattutto le donne che vediamo incedere regalmente nelle strade a qualsiasi ceto appartengano, col portamento che Christian Dior pretendeva dalle sue mannequin. Che guidino smaglianti vetture giapponesi o vendano la frutta dietro il banchetto all’angolo della strada, richiamano la tradizione che le rende stupende ma dai cui vincoli dovrebbero essere affrancate (proprio come da noi!) dalla Costituzione scritta nel 1950 dal filosofo Bhimrao Ramji Ambedkar, fra i grandi giuristi dello scorso secolo, al quale sono intitolate molte università indiane e nel mondo, che proclama l’India “Repubblica sovrana, socialista, laica e democratica, fondata su giustizia, libertà, uguaglianza e fratellanza“.

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