Ogni tanto parte il treno. Si sveglia un moralista o un politicante in cerca di like, e parte la crociata contro le nuvole, nessun progetto, nessuna idea. Solo slogan e anatemi, chiacchiere e distintivo.
È ricorrente la campagna contro le auto d’epoca, rappresentate a causa della vetustà come mine vaganti sulle nostre strade. In realtà è vero il contrario: gli scassoni ultraventennali (circa 16 milioni sui 57 milioni circolanti) sarebbero teoricamente in perfetta efficienza dato l’obbligo di revisione ogni due anni e la manutenzione in genere assai più frequente di una nuova. Tante sono le ragioni per cui si conserva la cara vecchia bagnarola: paga meno di bollo e assicurazione, fa da da nave scuola per i figli neopatentati, senza contare le ragioni affettive che non valgono comunque meno della frenesia consumista.

Dire che queste auto sono un pericolo è una forzatura e – anche se tutti vogliamo la sensata ripresa del comparto automobilistico e l’aumento della sicurezza sulle strade – dovremmo semmai favorire l’educazione degli automobilisti (non solo quelli in erba!) magari a partire proprio dalla scuola e non solo dall’autoscuola. Magari questo lavoro di formazione e disciplina avrà più effetto delle recenti misure draconiane e soprattutto durata nel tempo.
Esiste poi una ristretta (anzi ristrettissima) minoranza che colleziona auto antiche. Non si tratta per la maggior parte di miliardari ossessionati dall’ostentazione ma di persone di reddito medio le cui auto, strappate alle presse, non sono che utilitarie o modeste cilindrate conservate con passione e sacrificio. L’Italia, malgrado l’immensità del suo patrimonio automobilistico, è stato l’ultimo dei Paesi a rendersi conto che le auto storiche non sono un balocco da ricchi ma capitoli della nostra storia industriale, beni mobili che meritano gli allori nei Musei o, meglio ancora, di circolare nelle rare occasioni come testimonianza viva.

Resta il problema dell’inquinamento, il tema del giorno che ha reso tutti ipersensibili a parole ma poco concreti nelle soluzioni. Ma le occasioni di muovere un’auto storica sono rarissime e per primi i proprietari evitano di esporle ai rischi della circolazione. Particolati, diossine e fumi sono più effetto del normale parco circolante che non delle nonnine ferme in garage.
La nostra legislazione in materia è recente e, pur distinguendo fra relitti e perfetto stato di conservazione, viene di continuo minacciata, anche per la sottovalutazione di chi dovrebbe occuparsene. Forse più che il Ministero dei Trasporti dovrebbe metterci bocca quello dei Beni culturali, perché tali andrebbero considerate le auto storiche. Sempre che non si caschi dalla padella nella brace.