Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Saluto romano? No, telefilm

Verrebbe la pena di una rubrica apposta per le parole da mettere all’indice? Con gli anni aumentano le idiosincrasie per la lingua che si sente parlare e verrebbe perfino voglia di rifugiarsi nel vernacolo, ognuno nel suo, sempre che lo si parli ancora. Il mio lombardo, tanto per fare un esempio, s’è imbastardito dalla commistione del milanese antico (che si avvale dell’autorità del suo sommo poeta Carlo Porta) , con la lingua delle città dove ho vissuto, Roma soprattutto ma anche Siena, Napoli e Palermo, e finalmente dall’idioma cremasco, essendo la bella città di Crema per ragioni di famiglia la mia piccola seconda patria.

Gli snobboni ci considerano “napoletani di Lombardia” alludendo a una natura guascona e teatrale dei cremaschi, all’eloquio che tende alla voce alta nelle tavolate, ai dittonghi in finale di vocale che suonano ridicoli agli stranieri e per me invece sono musica. I miei migliori amici son tutti là e pazienza se la mia parlata s’inquina. Non è nostalgia ma liquido amniotico, ognuno ha il suo e deve tenerselo caro. Altrimenti cerco di parlare italiano, magari toscaneggiando a imitazione di mia moglie che viene dal senese e parla dunque l’idioma perfetto che più perfetto non si pole.

L’italiano (che Ennio Flaiano sbeffeggiava qualificandolo di “lingua dei doppiatori”) è minacciato da incursioni improvvise di locuzioni che vanno e vengono, parole diventate moda furiosa per poi subito precipitare nell’obsolescenza, modi di dire, gerghi, lingue spurie dove anglicismi storpiati la fanno da padrone. Una di queste parole è il saluto (romano?) per eccellenza diventato uso comune: SALVE, che ha ormai seppellito il buongiorno tanto che sembra sempre di incontrare legionari in libera uscita. Ma da dove viene questo salve? E perché non AVE allora, altrettanto romano antico e gladiatorio: Ave Caesar, morituri te salutant!? 

La ragione è più semplice di quel che si creda. La formuletta è invalsa in epoca recente, a metà degli anni Sessanta circa, col proliferare delle televisioni private e l’importazione di serie dedicate ai ragazzini, film e telefilm di ogni genere, western, polizieschi, distretti ospedalieri e di polizia, cliniche, università, scuole di danza… l’elenco sarebbe lunghissimo, ci siamo capiti.

Tutti questi film presentano problemi vari nell’adattamento dei dialoghi: certe forme colloquiali, soprattutto americane, molto più sintetiche e informali delle nostre, hanno costretto i nostri doppiatori a “inventarsi” modi di dire fino a quel momento residuali o desueti. Era impossibile infilare il nostro BUONGIORNO nell’ultra sintetico HY ogni volta che qualche agente, medico o bella ragazza saluta qualcun altro. Ecco perché si è riciclato lo scolastico SALVE e lo si è riportato in voga: stava perfettamente in battuta e nessuno si accorge di labiali diverse. Così la televisione ha imposto il SALVE alla nostra lingua con tanti cari saluti all’Accademia della Crusca e, senza che ce ne rendiamo conto, ha cambiato il modo di salutarci e interagire rendendoci confidenziali, sbrigativi e anche molto piccolo borghesi.