Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Sarà l’India a salvare l’auto? Dall’industria alla strada, ecco cosa accade/2

Lo scorso anno l’India ha scavalcato il Giappone diventando il terzo mercato automobilistico mondiale dopo Stati Uniti e Cina esportando 662.891 unità, un aumento del 14%. Nello stesso periodo l’Indonesia ha esportato 512.448 auto con un aumento del 70% mentre la Thailandia ha esportato 300.000 unità. Siamo ancora ben sotto all’export del Giappone (3,37 milioni di auto nello stesso periodo) ma tutte le case asiatiche sono all’offensiva e l’India non è da meno, in aggiunta al potenziale del suo immenso mercato interno.

Il terzo posto dell’India Vendite auto nei principali Paesi del mondo

In India ci sono 169 miliardari in dollari (terzo posto dopo Usa e Cina) e 796 mila milionari, un numero che sembra alto ma non rappresenta che lo 0,06% della popolazione. Questi nuovi ricchissimi, persa l’elegante austerità e dei padri, non si fanno scrupolo di ostentare la propria ricchezza e comprano sole le grandi marche internazionali del lusso (quando non direttamente le aziende come con Jaguar o Land Rover!) e qui l’Italia, con le sue Ferrari e Lamborghini (ma anche carrozzieri in grado di “personalizzare” gli acquisti), qualcosa dovrebbe combinare.

Cresce anche il reddito del ceto medio, orientato verso Suv e berline più impegnative delle domestiche “utilitarie” di un tempo. Per non dire delle motociclette, un tempo costruite su licenza ma ormai emancipatesi con tecnologie autonome e premiate da vendite esponenziali. Anche nel nostro Paese sono regolarmente importate le Royal Enfield che, sia pure rinfrescate con qualche addobbo digitale, restano pur sempre “nel cuore e nell’anima” gloriose e inattuali bikes inglesi degli anni Cinquanta, placide e indistruttibili (esiste perfino una versione diesel!). Lì a garantire lunghi viaggi nella natura impervia, qui a confortare il dandismo metropolitano che rimpiange gli anni della giovinezza perduta.

giovane Punjabi sulla sua Royal Enfield Bullet

Molti sono gli incentivi a costruire auto in India, soprattutto se elettriche, per non dire del costo irrisorio dei salari, l’unica preoccupazione delle case automobilistiche capaci solo di tagliare e innovazione zero, pensiero per le ricadute sociali meno di zero. Direte: ma ci devono pensare i governi, mica gli imprenditori! Certo, questa lungimiranza toccherebbe ai governi, ma da una trentina d’anni questi sembrano solo arroccati nella spartizione del debito pubblico a proprio uso e consumo senza più disegno né progetto, una spesa fatta per favorire allargare la propria base elettorale (chiamiamola pure clientela), nulla è più escogitato per il Paese anche se si dichiarano tutti stentorei “patrioti”. Incredibile come l’opinione pubblica (ma esiste ancora?) si lasci ingannare.

tuk tuk a Delhi

Una cosa che colpisce del traffico metropolitano è la sua anarchia e fluidità. Ci sono naturalmente i semafori e svolgono il loro onesto compito, ma tantissime sono le rotatorie e precedenza e immissioni qui avvengono con mite prepotenza e un’abilità nel calcolo di traiettorie e tempi di reazione che fanno ben capire come gli indiani siano portati per l’insiemistica, un cerebro superdoto in grado di elaborare informazioni, traiettorie, calcolo delle velocità relative che neanche l’Intelligenza Artificiale. Io mi sarò visto “infrociato”, come si dice a Roma per gli incidenti, almeno sei/sette/otto volte al giorno e invece non succedeva, né ho visto succedere, nessun contatto. Fortuna che non guidavo io (con la guida a destra, figuriamoci!), ma nemmeno tassisti, uber, tok tok o privati cittadini, mi sono mai apparsi in difficoltà nonostante le continue invasioni di corsia e lo zigzagare di motociclette, motorini, furgonette e camion sovraccarichi. Fondamentale è il clacson. L’unico accessorio che deve funzionare.

Il concerto dei clascson e un perfetto raga (raag), struttura musicale basata su serie di sequenze scalari (circa una settantina) che assomigliano alle nostre scale “occidentali”. le maggiori (ovvero nell’antico modo ionico) e le minori (modo eolio) o misolidie, doriche, frigie, e anche a scale con quinta diminuita e persino pentatoniche, comuni a diverse altre culture. Questo sottofondo caratterizza il traffico di quasi tutte le megalopoli con più di 20 milioni di abitanti (come Il Cairo, San Paolo, Mumbay, Città del Messico, Seul) fatta eccezione per Tokyo (35 milioni) dove non sono ammessi strombazzamenti.

Come nei raga, il clacson è in India sottofondo suadente, non strumento di intimidazione. Non serve a chiedere strada, sembra piuttosto il vagito di un neonato che abbia fame, fame vera, non capriccio di trascurato. Un timido avvertimento, un ci sono anch’io… guardami… accorgiti di me… Avvertimento a 360° (infatti si suona non solo a quello che precede, ma a chi ci affianca, a chi stiamo sorpassando, a chi sta per sorpassarci e perfino per chi sta arrivando da dietro), una stereofonia che non offende nessuno e tiene tutti svegli e allertati come nei giochi infantili del tutti contro tutti. Un amico napoletano, che condivideva la traversata, ha sentenziato che, confronto a Dehli, Partenope è silenziosa come Zurigo.

(2/continua) La prima puntata