Buick è una marca storica statunitense fondata nel 1903 da David Dunbar Buick che però la rivendette l’anno successivo, poco convinto della produzione in serie di automobili (la specialità erano motori stazionari e marini). Il nuovo proprietario James H. Whiting ne affidò la gestione a William C. Durant che ne incrementò le dimensioni tanto da renderla la più grande fabbrica automobilistica del paese prima di inglobarla nella General Motors, il grande agglomerato industriale da lui fondato. In Italia le Buick ebbero diffusione limitatissima e solo dopo la seconda Guerra Mondiale si cominciò a vederne qualcuna in giro. Qui parleremo in particolare di una che avrà un ruolo cruciale nella storia del Cinema italiano.

Ci dobbiamo spostare nel vercellese, dove si sta girando Riso amaro, il film del 1949 diretto da Giuseppe De Santis che ha reso celebre in tutto il mondo la bellezza scultorea di Silvana Mangano e il suo estro di attrice carismatica ma non convenzionale. Nei titoli di testa il suo non è che il terzo nome, dopo Vittorio Gassman (che si affliggerà sempre della sua interpretazione sopra le righe!) e l’americana Doris Dowling, sorella di quella Constance che Cesare Pavese amò inutilmente prima di concludere tragicamente la sua vita. Dino De Laurentiis, uno dei producer della LUX FILM responsabile del progetto, avrebbe preferito un nome più “sicuro”. Si pensava piuttosto a Lucia Bosè, scoperta da Luchino Visconti in una pasticceria milanese e Miss Italia 1947, e solo l’insistenza di De Santis promosse alla fine la Mangano.

Nella ricca biografia, DINO di Tullio Kezich e Alessandra Levantesi, il produttore smentisce categoricamente e proclama di aver scritturato lui la Mangano dopo averla ammirata su un manifesto elettorale della DC. Comunque sia andata, durante la lavorazione De Laurentiis s’innamorò della bella attrice che non dava confidenza a nessuno e detestava la visibilità da sex symbol che le foto scattate sul set già stavano facendo circolare.
Ho avuto la fortuna di conoscere Dino De Laurentiis e gli sarò sempre stato riconoscente dei consigli prodigati quando il mio film I cento passi fu designato per i Golden Globes e gli Oscar, lo stesso anno 2001 in cui l’Academy gli tributò l’Irving Thalberg Memorial Award, il premio più prestigioso cui possa aspirare un produttore. Fui perciò felice quando Raffaella De Laurentiis mi propose di girare un film su suo padre e mi invitò a studiarne la leggendaria e avventurosa carriera. Volevamo raccontare anche gli aspetti privati e dolorosi, su tutti la morte nel 1981 del figlio ventiseienne Federico in un incidente aereo, tragedia che destabilizzò e pose inesorabilmente fine al matrimonio con Silvana.

Ho potuto perciò accedere a materiali di famiglia, fotografie, filmati etc. che furono molto utili per sviluppare il film, anzi la serie televisiva, dato che una storia durata più di novant’anni (Dino era nato a Torre Annunziata nel 1919 ed è morto a Beverly Hills nel 2010) aveva bisogno di grandi dimensioni e tempi lunghi. Purtroppo, contrariamente alle nostre aspettative, la Rai non manifestò alcun interesse per il progetto, peraltro assai costoso, orientato più al mercato internazionale che a quello domestico, e l’occasione di raccontare la figura di un imprenditore dalle capacità eccezionali e un pezzo di storia del nostro Paese andò buttata. Non fu la prima volta, non sarà l’ultima.

Torniamo a Riso amaro. Dino De Laurentiis sfoggiava sui set una Buick Super Eight Sedanette coupé del 1947 e l’apparizione di quella smagliante vettura americana nel parcheggio della LUX FILM aveva indispettito gli austeri dirigenti della compagnia, quasi tutti torinesi refrattari a ogni forma di esibizionismo. La Buick di Dino era già un passo verso l’America dove si sarebbe trasferito nel 1972 scoraggiato dalla nuova legge italiana sul cinema da lui giudicata troppo restrittiva verso le coproduzioni internazionali che erano la sua specialità. Negli USA debuttò con un film che divenne un successo planetario, Serpico di Sidney Lumet, con l’allora quasi sconosciuto Al Pacino scoperto su un palcoscenico di Broadway.
Le riprese di Riso amaro si erano svolte nel vercellese, nella tenuta Selve, nella tenuta Colombara e nella tenuta Veneria posseduta dagli Agnelli in quel di Lignana. La leggenda vuole che Giampiero Boniperti a ogni partita vinta dalla Juventus godesse del bonus di scegliersi una mucca alla Veneria (e il fattore si lamentava che prendesse sempre la migliore, per giunta gravida). Terminate le riprese Dino offerse a Silvana un passaggio per Roma e qualcosa scoccò durante il viaggio. Fermi a un passaggio a livello, frequenti allora anche sulle arterie consolari, Silvana scese per sgranchirsi e muovere qualche passo di danza sulle note che provenivano dalla radio.

Da bambina aveva desiderato diventare ballerina classica e, quattordicenne, aveva seguito con notevole predisposizione i corsi della celebre coreografa Jia Ruskaia. Dino scese dall’auto e si mise anche lui a ballare. I passeggeri del treno in corsa avranno intravisto per un attimo la buffa fugace immagine dei due che saltellavano illuminati dai fari della Buick. Dopo aver respinto al mittente cinque proposte di matrimonio, alla sesta Silvana capitolò e sposò Dino l’anno dopo, il 17 luglio del 1949. Il viaggio di nozze attraverso mezza Europa fu fatto proprio con la Buick galeotta.


Due parole su quest’autovettura che rappresentava uno dei marchi “nobili” del gruppo General Motors (l’altro era la Cadillac) e ha prediletto la motorizzazione otto cilindri in linea anziché il più compatto 8 cilindri a V delle concorrenti (per non dire del “proletario” semplificato sei cilindri utilizzato dai modelli entry level). La prima casa a utilizzare nella normale produzione l’8 cilindri in linea fu l’italiana Isotta Fraschini, seguita da Leyland, Duesemberg, Bugatti, Daimler, Mercedes-Benz, Alfa Romeo, Stutz, Packard, Chandler, Marmon, Stearns-Knight, Gardner, Auburn, Studebaker, Hudson e, appunto, Buick che si convertì a questa unità motrice tipica di autovetture insieme lussuose e sportive e influenzò anche altre case del gruppo GM, come Pontiac e Oldsmobile.



courtesy Raffaella De Laurentiis
Il modello di De Laurentis è del 1947, una delle pochissime vendute in Italia dove le autovetture straniere erano gravate da altissime tasse d’importazione e di circolazione. Pochi avrebbero potuto permettersele, a meno di non utilizzare le staff-car abbandonate nella penisola dall’esercito americano e raccolte nei campi ARAR (Azienda Rilievo Alienazione Residuati) per essere rivendute a scopo civile. Ma erano auto spremute dai soldati e bisognose di cura, senza contare che bisognava pure riverniciale perché quel color kaki o mimetico evocava ricordi luttuosi. Comunque Dino De Laurentiis la sua aveva preferito comprarsela dal concessionario.